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/ 18.05.2020

APPESI A UN FILO
Valle Verzasca – L’artista Manuela Bieri reinterpreta la tradizione della lana

di Valentina Grignoli
Questa è la storia di come le tradizioni incontrano la contemporaneità, vengono rielaborate e prendono nuova vita nelle stanze di un museo. È la storia di un filo di lana, che dagli anni Trenta percorre la Valle Verzasca e trova oggi nuove forme nel progetto «Dialoghi appesi a un filo». La storia dell’arte artigiana delle donne del passato, assemblato concettualmente nel lavoro di Manuela Bieri. Come altri centri museali, riaprirà sabato il 13 giugno il Museo etnografico di Val Verzasca a Sonogno, se le condizioni sanitarie lo permetteranno. E lo farà per l’appunto con l’esposizione «Dialoghi appesi a un filo» nata e ospitata a Casa Genardini. Qui, nelle sue stanze e tra gli oggetti storici che le abitano, Manuela Bieri, artista tessile, ha ideato una serie di interventi che in maniera elegante e ironica raccontano la natura e la storia di una Valle legata per tradizione al mondo della lana, dalla pastorizia alla filatura. Una mostra che svela l’interesse dell’artista verso la natura dei luoghi: cosa accade a questi quando vengono contaminati dalla presenza umana? Per quanto riguarda la Verzasca, l’impronta dell’uomo è prevalentemente da ricercare nel lavoro della lana, un’impronta quindi piuttosto femminile. Manuela Bieri ha pensato la sua esposizione tenendo ben presente il 40esimo anno del Museo di Val Verzasca, ma anche il 50esimo del voto alle donne, realizzando le sue opere con il linguaggio tradizionale del luogo, che coinvolge filati, tessuti e altri materiali lavorati abitualmente dalle sapienti mani delle artigiane locali.

Il progetto artistico interessa tutta casa Genardini e si articola su diversi livelli, ma ogni opera nasce dal luogo che la ospita ed è stata possibile anche grazie al coinvolgimento della popolazione locale. C’è la reinterpretazione di utensili storici provenienti dal museo o su concessione dei privati cittadini; c’è una riflessione identitaria sul futuro delle tradizioni in questo mondo complesso; e l’abbozzo di un’opera partecipativa che coinvolga le donne dell’associazione Pro Verzasca.

Manuela Bieri come ha pensato il suo lavoro?
C’erano aspetti che mi parlavano più di altri: la natura, le donne, i manufatti. La tradizione della tessitura mi è parsa un ottimo punto di partenza: la lana è presente in ogni mio intervento, come filo capace di unire passato e presente. È stato importante per me sviluppare un linguaggio espressivo che tenesse conto di tutti gli elementi con i quali mi sono confrontata: fotografie storiche, oggetti di uso comune, elementi naturali, tradizioni.

Perché parliamo di dialoghi?
Perché è stato come un dialogo tra donne, intimo e onesto. La Valle Verzasca è una valle aspra, la natura è dominante, la vita contadina era difficile e dura. Il Museo è testimone di questa storia. Una storia a me estranea: non ho legami con la Valle o con la vita rurale, e quindi ho cercato il colloquio su un terreno comune. Mi sono recata più e più volte al Museo cercando di trovare la chiave per una conversazione sincera, e così, nel silenzio delle gelide visite invernali ho capito che la mia risposta stava nel portare con i miei interventi, emozioni, poesia e leggerezza. Alcune delle mie opere sono sospese, realizzate con seta e organza, altre trasformano oggetti di uso comune in opere contemporanee, altre ancora trasformano pietre in talismani.

Una reinterpretazione che si non si ferma ai manufatti, ma prova anche a decifrare un antico linguaggio fatto di simboli che raccontano le famiglie della Valle...
Per la stanza che ospita l’aula scolastica ho realizzato un’opera concettuale, legata al linguaggio. C’è un documento del museo che riporta i cognomi di ogni famiglia della Valle che possedeva del bestiame e il corrispondente «marchio» (simbolo) per stabilirne la proprietà. Quest’ultimo, costituito da pochi segni, veniva realizzato asportando una porzione di tessuto dalle orecchie di pecore e capre con una cesoia. Anche gli oggetti di proprietà venivano «marcati»: capitava spesso infatti che su un’alpe un rustico potesse dare riparo a più persone appartenenti a diverse famiglie, e si è stabilito così un marchio per ogni famiglia. Avendo studiato grafica sono rimasta molto affascinata da come pochi segni potessero di fatto generare una specie di codice, un linguaggio. Ho quindi realizzato due quaderni, uno per il bestiame uno per gli oggetti di casa, dove ricostruisco il possibile percorso che ha generato questi marchi.

Che legame c’è stato con la gente del posto?
Durante il primo incontro per discutere del progetto con la curatrice del museo Veronica Carmine, abbiamo pensato di coinvolgere la popolazione in un progetto partecipativo. Sarebbe stato infatti più facile per la gente della Valle accettare un inedito lavoro al Museo Etnografico da parte di «un’intrusa che viene dalla città» se avessi lavorato ad un’opera in collaborazione con la popolazione, dando loro la possibilità di conoscermi. Quando ho proposto il mio progetto ero molto ispirata dal lavoro dell’artista sarda Maria Lai e dal suo intervento «legarsi alla montagna»: per unire le famiglie di Ulassai, un remoto villaggio di montagna in Sardegna, l’artista aveva creato un nastro azzurro lungo 26 km che passava di casa in casa andando a tessere visivamente la rete dei rapporti sociali del paese. Mi piaceva molto l’idea di creare un’opera partecipativa con il gruppo di donne della Pro Verzasca, anche perché io stessa sono artista tessile. All’inizio ho partecipato più volte ai loro incontri settimanali, dove lavorano la maglia in gruppo. Purtroppo l’opera partecipativa non è stata realizzata ma nel corso del mio lavoro, quando ho avuto bisogno di materiale originale o informazioni, ho trovato sempre donne pronte ad aiutarmi.